Certe volte, quando mi trovo di fronte a qualcosa di cui non so nulla e che vedo per la prima volta, mi capita di sentire una pulsione strana, pur senza riuscire ad orientarmi tra le emozioni e ciò che apparentemente sento essere immobile: una sensazione che mi disorienta, a cui a volte faccio più caso altre volte la lascio andare per vedere se ritorna.
Mi è successo, qualche mese fa, quando ho visto il libro di Andrea Pomella: una copertina bianca, con un lenzuolo bianco che quasi sembra sostenere la sensazione di sterilità che ti arriva a prima vista mentre osservi le novità in libreria. Una pulsione apparentemente morta sul nascere, a cui ho dato poco spazio, inizialmente, senza accorgermi di quanto, invece, fosse rimasta lì in attesa.
Non che io scelga i libri dalla copertina. No.
Ma a voi è mai capitato di sentire quanto anche nella copertina di un libro, a volte, ci sia un primo richiamo, una sensazione forte che ti avvicina ad una determinata lettura?
Ti avvicina o ti respinge: soprattutto quando di quella lettura non ne conosci il mondo che le sta intorno: non conosci l’autore, né tantomeno l’argomento di cui si parla e forse, in realtà, non è quello che stai cercando in qual momento.
Poi, però, questa torna.
Torna perché deve dirti qualcosa. E torna quando il momento è quello giusto.
L’uomo che trema di Andrea Pomella, ti sbatte in faccia una realtà spesso molto sottovalutata, che è la realtà di molti di noi. In forme diverse, più o meno gravi, attanaglia la quotidiana routine che spesso noi stessi ci costruiamo credendo di essere nel giro giusto, nella dimensione che appartiene a tutti e che anche solo per questo diventa automaticamente quella giusta da inseguire.
Una routine fatta di convinzioni: la convinzione di avere il lavoro giusto, la convinzione di doversi accontentare di quello che si ha, la convinzione che le nostre tristezze, che spesso turbano violentemente il nostro vivere, siano il risultato di traumi subiti chissà quando, chissà dove, chissà perché. Traumi irrisolvibili, se non usufruendo di palliativi che decifrano apparentemente una questione e ne danneggiano altre, compresa la nostra stessa vita.
“Il depresso vive la propria condizione come perenne terminalità, ricorre continuamente al pensiero dell’immaterialità del proprio essere e del proprio destino (…) sentivo di stare sempre dalla parte sbagliata, di credere alle cose sbagliate, sentivo che in presenza di uno come me non poteva accadere mai niente di buono.”
Il senso di nullità che accompagna la depressione annienta qualunque possibilità di risalita. Ci si sente fragili e allo stesso tempo profondamente sicuri di quel che si è o, meglio, non si è: esiste il buio che distrugge ogni sentore di futuro, allunga il tempo della rinascita e non ne intravede la luce.
È un male oscuro che riporta subito alla mente il capolavoro di Giuseppe Berto, di cui si da nota nella storia come riferimento e ispirazione di scrittura, nonostante le distanze stilistiche, ma anche di concetto.
Sono, infatti, entrambe la narrazione del punto di vista di chi vive nella morsa della depressione e prova a farne un resoconto attraverso il palesarsi stesso della malattia, che può avere varie forma e svilupparsi in modalità completamente diverse e opposte, così come seguire percorsi di guarigione più o meno “aggressivi”, ma che quasi sempre si risolve nello stesso identico modo, così come arriva: “semplicemente” con un trauma, che si sovrappone a quello da cui la stessa scaturisce, che vada a capovolgere il punto di vista accavallando delle nuove convinzioni a quelle da cui si è stati ossessionati, magari, per una vita intera.
Ed è qui che le due storie si somigliano: in entrambi l’ossessione per il padre diventa l’inizio di un calvario che li porterà verso un turbinio di disturbi, palesati nei pensieri, nelle azioni e nei tedi fisici, sempre più invalidanti e sempre più persuasivi di una condizione difficile da contrastare e, perciò stesso, impossibile da superare.
Questo l’incipit de Il male oscuro:
Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti, anzi in un certo senso potrebbe perfino costituire una appropriata dimostrazione della validità perlomeno razionale di tali schemi o teorie, sicché, sebbene a me personalmente non ne venga un bel nulla, potrei benissimo sostenere che il mio scopo nello scriverla è appunto quello di fornire qualche altra pezza d’appoggio alle dottrine psicoanalitiche che ne hanno tuttora più bisogno di quanto non si creda (…)
In Berto c’è il blocco della scrittura, della narrazione, della creatività, come conseguenza della paura che nasce da un’ossessione, che si fa largo nella sua mente, prima, fino a diventare un disturbo psicosomatico che lo porterà addirittura in sala operatoria senza aver riscontro di alcun male: il male di cui suo padre era morto, un tumore, di cui lui si fa carico fino a credere di soffrirne. E inizia a scrivere e raccontare di questa sua ossessione proprio per provare a indagare nei meandri della sua mente per cercare l’origine di quel male che Gadda, ne La cognizione del dolore, definisce oscuro. Scrivere, per lui, fu un modo per scardinare le varie fasi del dolore, che prende forma attraverso tutta una serie di convinzioni che si fanno spazio nel pensiero fino a vederle materializzate e concretamente esistenti, e provare a ripercorrerle a ritroso, per ritornare al punto di partenza e sentirsi improvvisamente liberi da un peso.
Nell’appendice a Il male oscuro Berto scrive: “Della mia nevrosi potrei dire come del suicidio di Pavese: non mi è venuta per questo, ma sicuramente m’è venuta anche per questo. La nevrosi è una malattia basata sulla paura. Paura di tutto: della morte, della pazzia, della gente, della solitudine, del movimento, del futuro. Per uno scrittore è, particolarmente, paura di scrivere”.
Ed è lo stesso sentimento che muove Andrea Pomella: un sentimento che nasce dal bisogno di indagare dentro di se e sbaragliare la fatica di essere se stesso: in poche parole, la depressione.
Una scrittura lucida, che ripercorre una strada segnata dal buio dell’esistenza, senza procurare angoscia a chi legge, ma solo una indiscreta necessità di capire qualcosa di più del tremore di un uomo che prova a tracciare un percorso di liberazione. Un percorso difficile, duro, a tratti convintamente impossibile, che gli permetterà, però, di guardare la sua storia dal di fuori della propria esistenza offrendogli una visione più chiara del mondo che si era fatto spazio nella sua mente e della cornice di ciò che gli sta intorno.
DALLA QUARTA DI COPERTINA
L’uomo che trema racconta. Guarda la sua malattia come se fosse un corpo estraneo, lo viviseziona, cerca di capire qualcosa d’importante, e di farcelo capire. È in gioco il senso di tutto, per lui, che sa che piú si è depressi «piú le cose si fissano nell’attesa di farsi ghiaccio», come scriveva Cioran. E, in un certo senso, la sua cronaca è di ghiaccio. Proprio per questo emoziona nel profondo.
Le reazioni del corpo e della psiche alle aggressioni chimiche dei farmaci, la paura, i vari incontri con gli psichiatri, il rapporto con la compagna e con il figlio costretti a convivere con i tumulti della malattia. Le corse per le vie di Roma, le passeggiate nei luoghi di Giuseppe Berto, autore de Il male oscuro. E, al culmine della sofferenza, l’appuntamento che riporta in vita un antico fantasma di famiglia, il padre ripudiato. Uno spiraglio di luce, la possibilità di pronunciare, forse, la parola «guarigione».
Leggere questo libro significa immergersi nel mondo di un altro fino a sentirlo completamente tuo. Significa seguire passo dopo passo, con i sensi in allerta, il percorso da una condizione di dolore assoluto a una condizione nuova e possibile. Significa, letteralmente, essere rapiti. Perché a conquistarvi sarà la temperatura di ogni riga, la pasta della scrittura, l’intelligenza febbricitante, la qualità dello sguardo. In una parola: la voce dell’uomo che trema.
Titolo : L’uomo che trema
Autore: Andrea Pomella
Casa editrice: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2018