Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
Da “Lettera ai giudici”
Di don Milani amo profondamente il suo coraggio.
Il coraggio di aver saputo portare avanti le sue idee con una coerenza e una fermezza per nulla scontate, e soprattutto la forza di aver scelto di schierarsi, di stare dalla parte dei più deboli, di tutta quella parte di umanità che non conosce tutela.
Perché per fare scelte del genere devi essere capace di una grande volontà e un grande coraggio: la volontà di essere una delle pedine messe nel posto sbagliato per arrivare a fare le cose giuste, di essere un esempio libero e costante di un’idea giusta e soprattutto il coraggio di sostenere quell’idea a tutti i costi, e di essere disposto a rischiare senza aver paura di andare contro corrente.
Oggi don Lorenzo avrebbe compiuto 100 anni. Era nato il 27 Maggio del 1923, ma la sua vita, intensa e colma di un amore grande, seppur poco conforme, ha cessato di essere 56 anni fa, il 26 Giugno del 1967, a soli 44 anni.
Proveniva da una famiglia molto ricca che gli aveva dato possibilità e occasioni, specie di studio e di incontri culturali elitari, ma a 20 anni, complice una crisi spirituale che lo metterà sulla strada della ricerca di sé, del senso della vita e della propria spiritualità, decide di farsi prete, abbandonando quel mondo in cui era cresciuto per darsi totalmente ai poveri e ai bisognosi e sposare la causa degli ultimi.
Il suo messaggio ancora attuale
Nonostante oggi don Milani non sia molto conosciuto tra i giovani, ciò che sorprende è che i principi legati alla formazione e alla didattica, su cui si batte durante la sua breve vita, siano non solo ancora molto sentiti e dibattuti all’interno dell’ambiente scolastico, ma esattamente come al tempo di don Milani, ancora completamente disattesi.
Pertanto, in un tempo come il nostro in cui la valutazione numerica sovrasta ogni cosa e la quantificazione delle competenze schiaccia le particolarità e le unicità di ognuno, il messaggio di don Milani rimane ancora molto attuale, anzi probabilmente lo è ancora di più oggi di quanto lo fosse negli anni del suo operato.
Ed è di messaggio che bisogna parlare, più che di modello.
La scuola di Barbiana rappresenta nei fatti il messaggio cristiano che don Milani fa suo e che persegue attraverso una sorta di “ricerca incessante dell’assoluto” (Melloni)
Il suo cristianesimo ha una dimensione pratica che vuole fare continuamente i conti con la realtà e con le cose di ogni giorno. Ciò che gli interessa è l’essenzialità delle azioni che è poi quella stessa essenzialità che rispecchia il suo pensiero, coerente e pragmatico.
Una volta, in risposta alla lettera di Nadia Neri, la studentessa di filosofia, oggi analista junghiana, destinataria della “Lettera ad una studentessa”, che lo interrogò sul suo bisogno di ricerca del senso di una spiritualità che non sapeva come inseguire, don Milani disse:
Non si può amare tutti gli uomini. […] Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più.[…] Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio.
Una frase che rende bene il suo ideale cristiano, che si completa con un’idea di amore che è assoluta dedizione agli altri, purché siano uomini in carne e ossa, persone da aiutare con azioni concrete e non attraverso sermoni avulsi dalla realtà.
A Barbiana don Lorenzo viene mandato in una sorta di esilio/punizione, nel 1954. Durante la sua prima esperienza dopo il seminario, a Calenzano, si era accorto che i giovani frequentavano la parrocchia e andavano anche a messa, ma capivano poco o niente di quel che veniva detto.
Per la prima volta si scontra concretamente con una realtà totalmente diversa da quella che lui aveva vissuto, una realtà in cui le persone non hanno mezzi né strumenti per poter comprendere il Vangelo.
La sua vocazione inizialmente non ha nulla a che vedere con la scuola, ma l’esperienza che fa a Calenzano, prima, e a Barbiana, dopo, lo mette in profonda connessione con quello stato di cose, e gli permette di comprendere che l’unico modo che ha per incarnare in maniera concreta il Vangelo è proprio la scuola come mezzo per aiutare tangibilmente chi, altrimenti, non avrebbe mai avuto alcuna considerazione.
Barbiana inizia come punizione, ma diventa presto una vittoria, la sua vittoria e la vittoria di tutti quei ragazzi che, con entusiasmo, e amore, e dedizione, decidono di seguirlo in quel cammino duro e per nulla semplice, ma di cui comprendono il dono e l’importanza.
Non un modello, dunque, quanto piuttosto un messaggio, come quell’ I Care che spicca su una parete della scuola di Barbiana, «il motto della migliore gioventù americana, significa “Mi sta a cuore” ed è l’esatto contrario del motto fascista “Me ne frego”», che si pone in netto contrasto non solo, come dice don Milani, con il me ne frego fascista, ma anche con quell’idea di cristianità che predica e non agisce, che ama sulla carta e poi respinge gli ultimi.
Un’idea che ha completamente assimilato nella sua pratica di educatore e nella costruzione di una scuola in grado di avere a cuore tutti i ragazzi, senza confronti tra le capacità individuali, ma con il solo intento di puntare sulla unicità di ognuno di loro e sulla possibilità di arrivare al proprio personale traguardo. Perché ciò che conta non è quale vetta si raggiunge, ma la personale conquista della conoscenza e del sapersi esprimere attraverso il potere della parola, verso cui don Milani vuole accompagnare i suoi ragazzi, perché «se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo».
Restituire la parola a chi non ce l’ha sarà il suo personale modo di essere prete. La parola come urgenza, come azione concreta, come necessità per uscire da una condizione di sottomissione, per raggiungere l’elevazione civile.
L’obbedienza non è una vrtù.
Replicare in maniera identica quello che potrebbe sembrare un modello di didattica inclusiva replicabile in ogni contesto, non solo non è facile, ma di fatto non avrebbe alcun senso se non quello di scimmiottare una cosa inattuabile, per differenza di contesto, di luoghi, di tempi.
Ciò che è importante ricavare da quell’esperienza, da tenere a mente per poter trarre altre buone pratiche, è piuttosto il suo metodo pastorale, il cui messaggio forte e chiaro, e più facilmente replicabile, è quello di credere fortemente in qualcosa, inseguirlo e metterlo in atto con coerenza e nonostante tutto, anche quando diventa difficile e si ha tutto e tutti contro.
Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
Per don Milani l’obbedienza non è l’unica virtù e nemmeno l’unico modo di amare la legge. L’unica vera virtù è prendere posizione per dare un senso alla propria vita, volare alto, dare peso ai valori che contano. Un messaggio cristiano, certamente, ma anche un messaggio che ha un alto valore sociale e civile in cui la responsabilità personale rimane uno dei temi centrali.
E la disobbedienza in don Milani diventa un modo per confermare fortemente il valore dell’obbedienza, come una dicotomia che si manifesta attraverso il suo essere completamente obbediente a Vangelo e alla Costituzione e disobbediente alle Istituzioni.
Schierarsi dalla parte di chi non ha tutele, avere la volontà di influenzare e modificare, se serve, la realtà, essere l’esempio delle cose in cui si crede, avere il coraggio di rischiare e di andare contro corrente, rappresentano per don Milani le basi dell’esistenza umana.
Messaggi la cui summa risiede nella coerenza a tutti i costi, ma anche nell’interesse verso gli altri e verso le proprie convinzioni, e si rivela esplicitamente in quel motto scritto in rosso, ancora oggi visibile all’ingresso della scuola di Barbiana, che mette bene in luce la finalità della cura e dell’interesse all’educazione e alla conoscenza a cui la sua scuola era orientata: una forma di impegno, attenzione e rispetto per l’altro che facesse da esempio per una presa di coscienza civile e sociale.
Un messaggio potente, dunque, quello che rimane di Barbiana, che andrebbe ripreso a più voci e urlato in ogni ambito, in questo tempo buio che prova a scardinare delle certezze acquisite per farci tornare indietro negli abissi di una memoria che fa orrore, diffondendo velatamente quel “me ne frego” che sembrava ormai superato.
Un tempo che prevede la necessità di educare nuovamente alla responsabilità e alla coerenza come presupposto per il vivere civile e il bisogno di guardare a testimoni come don Milani che grazie alle idee, al coraggio di scegliere e all’amore profondo che aveva per quello che faceva, è riuscito a dare vita ad una piccola rivoluzione, lasciando come insegnamento il diritto di realizzare sé stessi e di essere cittadini capaci di coscienza critica.
Emanuela Gioia